Con l’approvazione della ormai nota legge Cirinnà (L. n. 76/2016) il legislatore italiano ha recepito alcune delle esigenze nate dall’evolversi della società civile, quella di veder riconosciute le unioni tra persone dello stesso sesso e quella di regolamentare i rapporti di convivenza. Oggi il nostro ordinamento prevede e tutela tre diverse forme di ‘unione’: il matrimonio, l’unione civile e la convivenza di fatto.
Nel corso degli ultimi 20 anni il numero di coppie conviventi è aumentato in maniera rilevante passando da un +1,3% nel 1983 ad un +7,9 % nel 2015, su numero complessivo abitanti paese (cfr. serie storica Istat – coppie non coniugate).
Inoltre, nello stesso periodo di tempo è quasi raddoppiato anche il numero delle coppie cd. ricostituite, quelle formatesi dopo lo scioglimento di un precedente matrimonio di almeno uno dei due partner.
Per convivenza di fatto s’intende il rapporto tra due persone maggiorenni (cittadini italiani o stranieri residenti in Italia, dello stesso sesso o di sesso diverso) unite stabilmente da legami affettivi di coppia e reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate tra loro da rapporti di parentela, affinità, adozione, matrimonio o unione civile.
● Cosa deve esserci perché si abbia una convivenza di fatto
– uno stabile legame affettivo connotato dalla reciproca assistenza;
– le parti non devono essere parenti, affini, coniugati fra loro o con terze persone, legati da rapporti di adozione o unione civile.
● Come si dimostra una convivenza di fatto
al fine del riconoscimento della convivenza di fatto e dei diritti che dalla stessa discendono non è necessario alcun adempimento formale o burocratico.
Infatti, i conviventi possono decidere di ‘formalizzare’ la loro unione iscrivendosi come tali negli apposti Registri istituiti presso i Comuni (in tal caso dovranno accertarsi di risultare nello stesso ‘stato famiglia’, diversamente la richiesta di registrazione verrà rigettata), ma possono anche decidere di non farlo.
In entrambi i casi, le tutele previste dalla legge saranno le medesime in quanto la certificazione anagrafica sarà considerata solo uno strumento privilegiato di prova per dimostrare la convivenza di fatto, ma non potrà da sola accertare la sua effettiva esistenza (Trib. Milano, ordinanza del 31.05.2016).
● Che diritti conseguono alla convivenza di fatto
– il convivente di fatto ha facoltà di designare, per il caso di una eventuale sua futura incapacità, il partner come rappresentante per l’assunzione di decisioni in materia di salute e, nell’ipotesi di morte, per le scelte sulla donazione di organi o le celebrazioni funerarie. La designazione va fatta in forma scritta e autografa; in caso di impossibilità a scrivere, verbalmente alla presenza di due testimoni;
– in caso di malattia o ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, assistenza ed accesso ai dati personali in ambito sanitario;
– in caso di decesso del partner proprietario dell’immobile di comune residenza spetta al convivente superstite il diritto di continuare ad abitarlo, per un periodo minimo di 2 anni o di durata pari alla convivenza se ha avuto durata superiore ai due anni, con un limite massimo comunque di 5 anni. E ciò sempre alla condizione che nel frattempo il partner non contragga matrimonio, instauri unione civile o altra convivenza di fatto;
– nel caso in cui l’immobile di comune residenza sia condotto in locazione e intervenga il decesso del partner firmatario del contratto, il convivente di fatto ha diritto al subentro alle stesse condizioni e durata, così come nel caso in cui il partner titolare del contratto receda anticipatamente;
– nel caso in cui un convivente sia interdetto, inabilitato o sottoposto ad amministrazione di sostegno, l’altro può essere nominato rispettivamente suo tutore, curatore od amministratore di sostegno;
– in ipotesi di decesso di uno dei conviventi di fatto derivante da fatto illecito di un terzo, si applicano gli stessi criteri del risarcimento del danno al coniuge superstite;
– nel caso in cui il convivente presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro e non si configuri un rapporto di società o di lavoro subordinato lo stesso ha diritto ad una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi, agli incrementi, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato;
– quando l’appartenenza ad un nucleo familiare costituisce causa di preferenza nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi popolari i conviventi possono far valere il loro titolo;
– i conviventi di fatto godono dei diritti previsti per i coniugi dall’ordinamento penitenziario.
● Che cosa non si acquista con la convivenza di fatto
– i diritti ereditari;
– i rapporti di parentela e affinità;
– diritto ad un assegno di mantenimento in ipotesi di cessazione della convivenza.
● Rapporti patrimoniali tra conviventi di fatto
la legge non prevede esplicitamente un obbligo di contribuzione tra conviventi, tuttavia esso si ritiene insito nella definizione di convivenza di fatto, che prevede una assistenza morale e materiale.
La normativa prevede espressamente che i conviventi possano disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla propria vita comune sottoscrivendo un contratto di convivenza, da redigersi in forma scritta con atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato.
Il contratto può disciplinare:
– le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune;
– il regime patrimoniale della coppia, ovvero i conviventi possono scegliere la comunione dei beni;
– l’indicazione della residenza comune.
Il contratto di convivenza viene meno e si risolve per accordo delle parti, recesso unilaterale, decesso di uno dei contraenti, matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente e una terza persona.
● Quando cessa la convivenza di fatto e cosa succede
la convivenza di fatto cessa:
– per il venir meno legame affettivo;
– se i conviventi contraggono fra loro o con terze persone matrimonio o unione civile;
– decesso.
Nel caso di cessazione della convivenza di fatto, qualora l’ex-partner si trovi in stato di bisogno o non sia in grado di provvedere al proprio sostentamento lo stesso può rivolgersi al Giudice per vedersi riconosciuto il diritto agli alimenti ovvero un assegno avente ad oggetto quanto strettamente necessario per vivere.